La riflessione sul rapporto uomo-ambiente non abbraccia unicamente l’ambito politico, anzi, sarebbe un grandissimo errore limitarla a una questione meramente istituzionale. L’ambiente ci riguarda. La terra è la casa di tutti e necessita delle nostre cure e del nostro rispetto. Anche tra i banchi di scuola questa tematica riaffiora continuamente, prova evidente di come gli uomini abbiano da sempre sentito una forte responsabilità nei confronti della natura e della sua conservazione. Il primo testo della letteratura italiana, il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi, composto nel 1224, offre un grandissimo esempio della comunione tra uomo e creato.
Lodato sii mio Signore, insieme a tutte le creature specialmente il fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu tramite esso ci illumini.
Ed esso è bello e raggiante con un grande splendore: simboleggia Altissimo la tua importanza.
Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai formate, chiare preziose e belle.
Lodato sii, mio Signore, per fratello vento e per l’aria e per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno, ogni tempo tramite il quale alle creature dai sostentamento.
Lodato sii mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura.
L’Italia inizia quindi la sua grande tradizione letteraria con la celebrazione degli elementi naturali che, nella loro equilibrata diversità, rivelano una sacralità profonda nei confronti della quale l’uomo dovrebbe rendersi paladino e garante.
Sempre la letteratura, però, ci conferma come nella società di massa, orientata esclusivamente al mantenimento del proprio benessere economico e sociale, sembra non esserci più spazio per la contemplazione e il rispetto della natura la quale, invece, viene offerta come silenziosa, innocente vittima sacrificale, immolata in nome del tanto celebrato progresso. Se siamo qui oggi è perché siamo tutti convinti che non possa esistere vero progresso senza la responsabilità civile che ci compete, in quanto Uomini, nel confronti di quanto di più bello e prezioso ci è stato affidato.
Scrive infatti Giorgio Caproni nel componimento “Versicoli quasi ecologici”, pubblicato postumo nel 1991:
Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: “Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra”.
Il messaggio del poeta è chiaro: si tratta di una supplica laica all’intera umanità, mandante e prima responsabile del centellinato assassinio della ambiente, rappresentato dalle sue diverse forme di vita, grandi e piccole.
I due testi messi a confronto purtroppo rivelano due piani diversi di preghiera: il primo è una celebrazione gioiosa, il secondo una richiesta di pietà e misericordia. Se l’ambiente e la natura vengono indistintamente descritti come puri e innocenti, è l’uomo che passa da essere cantore a distruttore.
Ma la speranza di un risveglio di coscienze c’è ancora: e siamo noi giovani, i futuri poeti di un mondo nuovo.